Cura Fisica

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Perché ingrassiamo? - Focus Alimentazione

Di solito il momento della presa di coscienza è al cambio di stagione, primavera o autunno che sia. Cambia la temperatura e... non si entra più nel guardaroba dell'anno precedente. In pochi mesi è aumentata la circonferenza vita, o del torace, o dell'addome, o meglio sono cambiate tutte e tre. Mentre con sgomento si prende nota dei rotolini strizzati dalla cintura, bisogna assumere decisioni epocali. Due sono le alternative: la dieta o un nuovo guardaroba. 
La verità è che alla salute si pensa poco. Nel 2010 l'Istat affermava che solo un italiano su due (51,5%) ha un peso sano (cioè un Indice di Massa Corporea tra 18,5 e 24,9); gli altri hanno chi alcuni, chi molti chili di troppo (il 35,5% è sovrappeso e il 9,9% è obeso). La situazione sembra già grave, ma bisogna tener conto che i dati Istat sono sottostimati: sono derivati da interviste, e gli intervistati, si sa, tendono ad aumentarsi la statura e a ridursi il peso dichiarati per avvicinarsi ai modelli sociali. Il Progetto Cuore dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss), che ha stime più attendibili perché basate su misurazioni certe, dice che l'italiano medio è sovrappeso.

Ma perché tendiamo ad ingrassare?

Gli uomini presenti oggi sulla terra sono i discendenti di quelli che sono sopravvissuti alle carestie perché consumavano poco. Pierre Bonassie (1932-2005), già docente di storia delle società medioevali all'Università de Toulouse-La Mirall, ha dimostrato che fra il 750 e il 1100 la popolazione europea è stata decimata da carestie: se ne verificava in media una ogni 12 anni e per sopravvivere c'è stato chi è ricorso persino al cannibalismo. Insomma, fame nera. Nel 1700 di carestie ne risultano documentate almeno 16. In quei periodi si ricorreva ai cosiddetti pani di carestia, detti anche pani di fantasia, l'unico alimento disponibile, cioè poca farina impastata con terra, sabbia o argilla.
La memoria di questa fame è ben registrata nel corpo: gli europei sopravvissuti non possono che avere discendenti con un metabolismo efficientissimo nell'accantonare riserve, altrimenti non sarebbero qui. Oggi però le carestie non ci sono più e quando ci si siede a tavola bisogna tenere tutto ciò ben presente. Quindi, se non si vuole ingrassare, non solo occorre scegliere la dimensione delle porzioni, ma anche il tipo di alimenti, considerandoli in base al loro indice di frugalità.

Ci provo, ma non dimagrisco!

Mark Haub, docente di nutrizione umana alla Kansas State University, scoprì 5 anni fa di essere obeso: introduceva 2600kcal al giorno, troppe per il suo stile di vita. Per far capire il concetto agli studenti, per de mesi ridusse l'apporto calorico a 1800kcal, cioè 800kcal in meno di prima al giorno. Non solo: di queste calorie, due terzi erano solo junk food, cioè snack e dolci, come dire il cibo peggiore di una dieta, in particolar modo se dimagrante. Solo il resto delle calorie proveniva da verdure in scatola, da un frullato di proteine e multivitamine. Quando risalì sulla bilancia aveva perso 13,5kg, esattamente quanto aveva calcolato di perdere con quella riduzione calorica.
La dieta di Haub certo non è da prendere come esempio. Semmai deve stupire la forze di volontà dimostrata: un deficit calorico di 800kcal nutrendosi di cibi pieni di zuccheri e di grassi, escogitati apposta per far venire fame, deve essere stato un supplizio.
Tanto per intenderci, dovendo scegliere tra un chilo di spinaci freschi e un solo biscotto Oreo (stesse calorie), cosa pensate sazi di più?


"Mangia che ti passa" (o no?)

Due ricercatori dell'università di Oslo raccontano sulle pagine della rivista scientifica The Lancet una vicenda che ha dell'incredibile: l'occupazione tedesca aveva salvato la vita di 66 norvegesi ogni 100 mila. Che cos'era successo? I tedeschi avevano razziato tutti gli animali, facendo sparire dalla dieta gli alimenti derivati e abbassando il contenuto energetico giornaliero, scendendo di ben 630kcal, da 3470kcal degli anni 1936-37 a 2840kcal degli anni 1942-45. La popolazione aveva risposto perdendo peso e parallelamente era crollata la mortalità. Non si tratta di un caso isolato.
Quarant'anni dopo, dall'altra parte del mondo, la crisi economica attanagliava l'isola di Cuba, stritolata nell'embargo americano. Il governo aveva razionato cibo e carburante. Gli animali destinati alla macellazione erano stati dirottati nei campi a tirare l'aratro, e tra il 1991 e il 1995 la popolazione aveva perso in media 4,5kg di peso. Anche in questo caso, con i chili se n'erano andati i malanni: in quello che oggi, a Cuba, chiamano "il periodo speciale", la mortalità del diabete si era dimezzata, quella per eventi cardiovascolari si era ridotta del 34,4%, quella per ictus del 13,6% e quella per tumore del 2,4%. La ripresa economica, successivamente, aveva fatto risalire il peso degli abitanti e con esso tutti i dati di mortalità fino ad allora registrati.

Il cibo che mangi può essere la forma più potente e sicura di terapia, o la più lenta forma di avvelenamento...
-Aseem Malhotra, cardiologo del Croydon University Hospital di Londra 



 (Tratto da: Gli speciali - Focus Guide 2015 n.270 - "Nutrirsi, la salute nel piatto")

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